L’istanza Psicologica nel Restauro dei Monumenti
AUTORE: ANNA USAI
Immaginate per un attimo che uno dei monumenti della vostra città venga spazzato via a causa di una tragedia, un bombardamento o una catastrofe naturale.
Se qualcuno decidesse di intervenire sullo “spazio vuoto” che la mancanza del monumento ha creato, avrebbe più senso che il Monumento venga ricostruito “com’era e dov’era” oppure, in un qualche modo, l’intervento dovrebbe conservare il segno che quell’avvenimento sia accaduto?
Lo sviluppo del dibattito teorico sugli interventi da effettuarsi sui monumenti o parti della città devastate da eventi “traumatici” fu centrale nel secondo dopoguerra ma la prima volta che si assistette allo sviluppo di questo tema fu nel 1902 e in particolare nella notte del 14 Luglio, a Venezia.
Il crollo del Campanile di San Marco a Venezia
Da poco passate le nove del mattino, Piazza San Marco era quasi deserta. Il Campanile mostrava già evidenti segni di cedimento da qualche giorno. Il crollo durò pochi secondi e fu tanto imponente e fragoroso quanto ordinato. Non ci furono vittime e quasi nessun problema alle costruzioni contigue.
Le reazioni della città al crollo del suo simbolo, invece, ebbero presto conseguenze concrete. Quella sera il Consiglio Comunale si riunì e ne deliberò la ricostruzione immediata stanziando 500 mila lire dell’epoca.
Il 25 aprile 1903 venne posta la prima pietra e il sindaco Filippo Grimani sottolineò più volte la necessità di ripristinare il monumento simbolo della città, “come era dove era”.
Questo episodio costituisce un evento culturale di primaria importanza nella storia del restauro: la definizione di un modello politico-culturale di reazione alla perdita dei simboli dell’identità nazionale.
La ricostruzione del monumento distrutto fu, nel caso del campanile di San Marco, considerata come un’esigenza dettata da quella che verrà poi chiamata da Pane ”Istanza psicologica”, che conduce a percepire la grande lacuna non come un documento storico accettabile o reintegrabile, ma come un orrore, o talvolta un ‘errore’, da rimuovere tempestivamente. La ricostruzione viene dunque intesa e perpetrata poiché considerata come una scelta rassicurante, quasi catartica, perché garantisce da un lato il perpetuarsi, nella sfera della percezione visiva, di elementi che costituiscono una certezza nella loro immota presenza, dall’altro illude che il tempo possa essere invertito, ripristinato, lenendo le ferite del trauma.
Quali conseguenze ha il ripristino ‘come era dove era’ in rapporto alle finalità del restauro e della tutela dell’opera d’arte, ovvero la conservazione? E quali altre strade possono essere percorse per rispettare l’unicità e l’irripetibilità del monumento?
I bombardamenti e le distruzioni che tra il 1942 e il 1945 interessarono diverse città Europee posero le basi per una profonda riflessione sulle finalità e i principi del restauro sul tema della “Lacuna”.
L’approccio post-bellico fu duplice: da un lato gli interventi sui monumenti predilessero la reintegrazione, il ripristino e la ricostruzione al fine di recuperare, anche esteticamente, le bellezze artistiche del paese e cancellare le brutture della guerra; dall’altro l’approccio verso il tessuto urbano e l’edilizia fu operato tramite nuove costruzioni contemporanee spesso e volentieri senza un reale dibattito sui caratteri morfologici e tipologici del tessuto urbano né, tantomeno, di rispetto degli stessi.
Da un’analisi sugli interventi del dopoguerra si riscontra una ricorrenza di approcci frutto, non tanto di uno sviluppo del dibattito sul tema, quanto della ripetizione di modi di intendere istanze connesse al significato di materia, ruolo dell’immagine, autenticità e storicità del monumento e, non da ultimo, alle aspettative psicologiche della popolazione. Poiché, è certo, non esiste una risposta corretta e univoca al tema della grande Lacuna ma sarebbe, quantomeno necessario, accettare definitivamente che la restituzione di un falso storico comporta lo svilimento dell’autenticità storica e formale del monumento oltre che la sospensione del del suo sviluppo nel tempo.
Alcuni Approcci:
Il Centro Antico di Varsavia
Il centro di Varsavia fu devastato dai bombardamenti della seconda Guerra Mondiale. A seguito della distruzione si decise di ripristinare le facciate degli edifici simbolo della ricostruzione e dettato dalle esigenze psicologiche della popolazione.
Il Cretto di Burri – Gibellina
La città di Gibellina, nel trapanese, fu completamente distrutta da un terremoto nel 1968. Sui suoi resti l’artista Burri realizzò un’imponente opera di Land Art nota come “Cretto di Burri”.
La cattedrale di San Michele a Coventry
Coventry è una città nel Regno Unito. Nel 1940 fu devastata da un bombardamento della Luftwaffe tanto che il termine “Coventrizzare” è sinonimo di distruggere completamente, radere al suolo. A seguito della sua distruzione si decise di mantenerla a rudere affiancandola ad una nuova chiesa contemporanea.